Manifesto senz'affissione con afflizione - Il pensiero ricorrente del Copy

Potete anche smettere di chiederlo, non lo farò. Non smetterò di rifugiarmi in parallelismi azzardati e improbabili esercizi linguistici. Se volete che tutti capiscano quello che dico sono la persona sbagliata, sul serio. Quello che merita di essere letto merita anche qualcuno che possa apprezzarne lo spessore.


Che rimanga un’incognita per la maggioranza è solo un bene, sia chiaro. Almeno finché sarà così propensa a brucare concetti terra terra. Che vadano a farsi fottere tutti i livellatori di significato, che marcisca nel suo piattume il già detto, portandosi dietro chi le riesuma con irrispettosa costanza dalla tomba della creatività.


Ora basta spendere a vuoto altre parole, è tutto fin troppo chiaro e questo non è mai un bene. In breve: mi spezzo ma non mi spiego.

56k d'Etiopia - Veline in bianco (Il forenji è bello quando dura poco).


Con le brevi righe che seguono ho la certezza di essere frainteso, cosa che certo non mi spaventa essendo parte della mia quotidianità, ma trattandosi di un concetto importante vale senza dubbio la pena tentare di affrontarlo.

In Etiopia se sei bianco sarai sempre un “forenji”: potresti anche spendere l’intera vita qui, imparare alla perfezione il complesso amharico, convertirti alla religione ortodossa o partecipare con passione ad ogni celebrazione locale, ma agli occhi degli etiopi sarai comunque diverso. Potremmo inquadrarlo come una sorta di razzismo inverso: immagina di non poter rifiutare il posto migliore su auto o bus come fossi una Rosa Parks al contrario, di non poter camminare per strada senza che qualcuno si offra di aiutarti per qualsiasi cosa o desideri solo essere salutato, essere invitato a ogni festa o celebrazione che incroci per caso, venire salutato col rispetto dovuto ad un’autorità da polizia, militari e monaci. 

Le sensazioni che scaturiscono da questa attitudine sono conflittuali: da una parte fa piacere ricevere considerazione e riguardo, ma dall’altra si sente sempre un po’ il puzzo dell’isolamento e rattrista avere la certezza di non poter essere davvero come gli altri (immagino sia la stessa sensazione provata dalla prima scimmia eretta su due zampe o, di converso, come l’ultima ad averlo fatto).

Per esser diretti potremmo dire che essere un bianco in questo pezzetto d’Africa è come essere una velina da noi: tutti ti guardano, ti fissano, ti seguono, provano a parlare con te insistentemente come in preda ad un’attrazione fatale, hanno voglia di toccarti e qualcuno lo fa anche di soppiatto, ti fischiano dietro e urlano per richiamare la tua attenzione magari solo per un secondo, cercano di invitarti a prendere un caffè o a una festa o qualsiasi altra cosa gli passi per la mente che gli permetta di sfoggiare la tua presenza come un trofeo, si atteggiano davanti a te con movenze poco credibili e un’inglese improbabile solo per darsi un tono. Insomma vogliono avere un contatto col “forenji” a tutti i costi, purché non duri oltre 5 minuti però. Già, perché in realtà il loro interesse è effimero e passeggero, non si tratta di un’autentica voglia di conoscerti e confrontarsi ma piuttosto di un gioco, un divertimento, per questo ci si sente come una velina di cui tutti sono attratti irrefrenabilmente ma che in realtà nessuno è davvero interessato a conoscere sul serio.

Potrei anche azzardare che siamo visti come semplici giocattoli, qualcosa di nuovo e diverso con cui trastullarsi per un po’ per poi tornare alle cose serie e importanti della propria vita etiope. Basti solo sapere che difficilmente una discussione va oltre i 10 minuti e che superate le iniziali domande di rito si vada irrimediabilmente sempre a finire sulla cultura e sulle tradizioni etiopi: una volta che avrete elencato telegraficamente nome, professione, nazionalità, lavoro e poco altro come in una lezione di inglese delle elementari, tutto quello che seguirà sarà una sorta di interrogatorio diretto e monodirezionale sull’Etiopia. 

La sensazione, spero sbagliata, è che la sola cosa che gli interessi davvero sia sapere se mangi il loro cibo, se balli come loro, se ti piace la loro musica, cosa pensi della cultura etiope e della città in cui ti trovi. Non è una cosa strana considerando che l’Etiopia è un paese “solitario”, molto focalizzato su se stesso e decisamente autocentrico, ma vedere come convivano con sorprendente nonchalance un’ossessiva invadenza e un’effettivo disinteresse di base è spiazzante come la migliore delle finte di Roberto Baggio.

Naturalmente ci sono molti etiopi sinceramente interessati ai “forenji”, persone con cui confrontarsi è qualcosa di autentico, profondo e valorizzante. Ma per tutti gli altri africani di questa terra rimane la sensazione di essere niente di più dell’ultima scoperta (in ogni senso) di Antonio Ricci, noi siamo la copertina affascinante di un magazine che li attira per una sfogliata veloce ma che non hanno nessuna intenzione di leggere davvero fino in fondo.

56k d'Etiopia - C’è rifiuto e rifiuto, ma entrambi mancano in Etiopia.

Se avete intenzione di visitare questa strana fetta d’Africa, sappiate che in Etiopia non esistono rifiuti, qualsiasi accezione vogliate attribuire a questa frase. Già, dimenticatevi pure di glissare con eleganza un invito, ma scordatevi anche di poter trovare un sistema per lo smaltimento della vostra spazzatura. Andando con ordine, è importante sottolineare come l’estrema ospitalità degli Abesha sia seconda solo alla loro immarciscibile insistenza. 

Se avete la “colpa” di essere Forenji aspettatevi ogni sorta di pressione ed armatevi di tutta la pazienza che pensate di poter racimolare, anche se non sarà mai sufficiente. Bere inquietanti intrugli alcolici locali, ingurgitare quantità inusitate di cibo tipico di dubbia provenienza, farsi accarezzare in maniera discutibile e passeggiare mano nella mano con atri uomini, lasciarsi infilare in bocca bocconi di cibo direttamente dalle mani di qualcun altro di cui sfortunatamente conoscete le scarse attitudini igieniche; sono solo alcuni esempi di ciò a cui non potrete sfuggire in alcun modo. 

Palesare il vostro imbarazzo non servirà a nulla, altrettanto inutile sarà tentare disperati diversivi per cambiare argomento o distogliere l’attenzione, mentre declinare educatamente e ripetutamente l’invito sortirà solo un aumento dell’insistenza. Nulla frena l’inarrestabile ospitalità Etiope, nulla. Deve essere senz’altro per questo che hanno vinto la guerra contro gli italiani e che nessuno è mai riuscito a colonizzare questo popolo a lungo: custodiscono l’antica arte dell’essere estenuanti e vincere per sfinimento, la loro resistenza, insomma, va ben oltre quella ostentata nelle maratone per cui sono celebri in tutto il mondo.
 
Questa capacità di resistere è alla base anche della mancanza degli “altri” rifiuti, altrimenti non si spiegherebbe come possono gli Etiopi sfoggiare una disinvolta noncuranza rispetto agli aromi locali. Gli odori qui sono completamente saturi, quasi solidi, così definiti da sembrare palpabili. Gran parte di essi è però più che altro una sorta di puzzo appiccicaticcio e indefinibile che stagna nell’aria pressoché ovunque. Non è difficile immaginare che una delle maggiori cause di tutto ciò sia il controverso rapporto degli Etiopi con l’immondizia. 

Infatti per essi questa praticamente non esiste. In molte aree non c’è nessun sistema per la raccolta o il deposito della spazzatura e la maggior parte della popolazione semplicemente abbandona dove capita quello di cui non ha bisogno o gli scarti della quotidianità. Se state immaginando immondizia e rimasugli di cibo sparsi un po’ ovunque, abiti e scarpe vecchie abbandonati per strada e cartacce varie che svolazzano dappertutto non siete molto lontani dalla realtà, dovete solo ridimensionare il volume del tutto, considerando che pur sempre di Africa si parla e lo sviluppo di città e dintorni non è paragonabile a quanto siete abituati a vedere. 

Anche perché per la maggior parte degli Etiopi i rifiuti non esistono anche in un senso più pratico: non c’è nulla da buttare via quando non si ha niente. E in queste righe il niente è forse l’unico concetto che dispone solo di una lettura, quindi non aspettatevi risvolti positivi a seguire perché, esattamente come nelle vite di queste persone, non ci saranno colpi di scena o lieto fine, chiamatelo pure “rifiuto del rifiuto”.